San Martino del Carso è un piccolo paesino del Comune di Sagrado, in provincia di Gorizia al confine con la Slovenia, con poche case che cent’anni fa si presentavano completamente distrutte dalle cannonate dell’Impero austroungarico e che storicamente è divenuto uno dei maggiori simboli della resistenza italiana contro l’invasore austro-tedesco.
“Di queste case non è rimasto
Che qualche brandello di muro
Di quanti che mi corrispondevano
Non è rimasto neppure tanto
Ma nel cuore nessuna croce manca
È il mio cuore il paese più straziato”
Questa celebre poesia di Giuseppe Ungaretti ha fatto conoscere la piccola frazione di S.Martino al resto d’Italia, tra i banchi scolastici, di generazione in generazione, o quasi; dato il livello di appiattimento della scuola odierna riguardo i temi bellici che hanno coinvolto la nostra nazione. Una cosa è però certa: più da un testo traspare la crudeltà e la tristezza negativa della guerra, più esso potrà essere candidato alla lettura dalla cattedra per bocca di professori pacifisti e antipatriottici.
Tra il 1914 e il 1915 la situazione politica italiana era più o meno questa; con chi urlava l’avversione alla guerra per un un’internazionalismo socialista e chi invece invocava un interventismo deciso per riscattare l’Italia dall’Austria-Ungheria. Questo fu anche il giovane sindacalista Filippo Corridoni, nato a Pasula in provincia di Macerata il 19 agosto del 1887, colui che, socialista, inizialmente manifestò contro l’entrata in guerra salvo poi ricredersi, vedendo in essa la riscossa per la classe operaia, convincendo addirittura il compagno Benito Mussolini delle potenzialità politiche e sociali che l’interventismo sarebbe riuscito a generare. I giovani Mussolini e Corridoni coltivarono nelle lotte sindacali una lunga amicizia tra comizi, militanza, scioperi, innumerevoli arresti a causa degli scontri di piazza in difesa dei lavoratori e l’esperienza militare nei primi mesi della prima guerra mondiale quando, il 23 ottobre del 1915, Filippo Corridoni trovò la “bella morte” nella conquista della Trincea delle Frasche. Così su “il Popolo d’Italia” del 23 ottobre 1917, due anni dopo, scriveva il futuro Duce in onore del compianto amico Filippo:
“Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla.
Leviamoci un momento dalle bassure della vita parlamentare; allontaniamoci da questo spettacolo mediocre e sconfortante; andiamo altrove col nostro pensiero che non dimentica; portiamo altrove il nostro cuore, le nostre angosce segrete, le nostre speranze superbe, e inchiniamoci sulla pietra che, nella desolazione dell ‘Altipiano di Trieste, segnò il luogo dove Filippo Corridoni cadde in un tumulto e in una rievocazione di vittoria”.

Eh si, questo sacro luogo in cui oggi ci troviamo dinnanzi all’imponente obelisco di granito dell’Elba alto 23m, fatto erigere dallo stesso Mussolini nel 1933, e dove in questo stesso giorno, uggioso come allora, centocinque anni fa cadeva colpito in fronte l’eroe Filippo Corridoni nell’indomita corsa verso le postazioni nemiche, avrebbe ancora tanto da raccontare alle nuove generazioni di una nazione forgiata da eroi. Quel 23 ottobre 1915, dopo innumerevoli tentativi, finalmente la Brigata Siena riuscì nell’intento di conquistare la maledetta Trincea delle Frasche battente bandiera austroungarica. Così chiamata per la sua copertura/invisibilità naturale di alberi e arbusti, questa postazione è risultata per mesi inattaccabile per il Regio Esercito nel corso delle battaglie dell’Isonzo. Quel fangoso mattino del ’15, in un glorioso assalto con in testa il drappo sabaudo, il 32° reggimento di fanteria della Siena riuscì con i suoi volontari milanesi a penetrare nelle linee nemiche e prendere la Trincea delle Frasche con un importante numero di vittime soprattutto tra gli ufficiali che, al contrario di quanto afferma la retorica anti-patriottica, erano sempre in testa ai loro soldati. Senza più superiori al comando e senza ordini precisi sul da farsi, il soldato Corridoni prese d’impeto il comando, levandosi in piedi in tutta la sua notevole altezza, e agitando il berretto all’aria chiamò nuovamente la carica verso la vicina trincea dei razzi, terrore del fronte italiano e fino all’ora inattaccabile. In questo eroico gesto che scolpì nella memoria nazionale l'”arcangelo sindacalista” marchigiano, Filippo Corridoni venne colpito a morte conquistando la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
“Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e con la parola, tutto sé stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante della vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi, e con sereno ardimento, all’attacco di difficilissima posizione, e tra i primi l’occupava. Ritto con suprema audacia sulla conquistata trincea al grido di “Vittoria! Viva l’Italia! Incitava i compagni, che lo seguivano, a raggiungere la mèta, finché cadeva fulminato da piombo nemico”.
Trincea delle Frasche (Carso), 23 ottobre 1915
Purtroppo la presa della trincea durò poche ore perché i soldati austroungarici controattaccarono in forze respingendo i militari italiani ma, oggi, poco distante dal Cippo Corridoni che domina tutta la zona e quella che fu la Trincea delle Frasche, vi è un’altro cippo commemorativo. Un monunento in onore degli eroi della Brigata Sassari, a ricordarci che, pochi giorni dopo, alla vigilia di novembre, anche grazie al coraggioso esempio del soldato Filippo Corridoni la Patria rappresentata da quelle migliaia di giovani italiani riconquistò l’impossibile. “…Come per andare più avanti ancora”.
Andrea Bonazza
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